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LE FIRME DEL CAFFÈ
FUORI DAL CORO di Giò Rezzonico
Il nostro futuro
è legato all'immigrazione
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Giò Rezzonico
Nel corso degli ultimi due secoli la popolazione ticinese si è triplicata: è passata dai 110 mila abitanti del 1808 ai 353 mila del 2018. Ma nel 2016 per la prima volta ha registrato una diminuzione. E secondo Angelo Rossi questa tendenza proseguirà anche in futuro. Il noto economista sostiene questa tesi nel primo saggio del suo ultimo libro "Metamorfosi", pubblicato dalla Fondazione Pellegrini Canevascini. A rendere preoccupante l’evoluzione demografica del nostro cantone, osserva Rossi, è anche il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione "soprattutto a partire da quando lo stesso ha comportato, non solo la riduzione della quota della popolazione giovane, ma anche di quella della popolazione in età lavorativa. Preoccupante, perché le assicurazioni sociali sono finanziate in modo particolare dalla popolazione che lavora". Da queste tendenze, che difficilmente cambieranno direzione, risulta chiaro quanto lo sviluppo futuro del nostro cantone dipenderà dall’immigrazione. Una conclusione che scaturisce da dati oggettivi, che non piacerà alla nostra destra populista, ma della quale la politica non potrà non tener conto.
Ma come si è giunti a questa situazione? L’interessante saggio di Rossi analizza il rapporto tra natalità e mortalità soprattutto nel corso degli ultimi due secoli. Attualmente questo saldo in Ticino è negativo: si registrano infatti mediamente più morti che nascite. Da qui la diminuzione della popolazione. Nel suo saggio l’economista analizza i fenomeni che nel corso di Ottocento e Novecento hanno influito sui rapporti tra nati e morti. I progressi della medicina, per esempio, hanno fatto diminuire la mortalità (soprattutto infantile), mentre il tasso di natalità è stato fortemente influenzato dal fenomeno dell’emigrazione. Emigrazione che fino alla prima metà dell’800 era soprattutto periodica, mentre in seguito i nostri giovani partivano per non tornare più. Si calcola che tra il 1850 e il 1940 in 40'000 abbiano lasciato il Ticino: il 33 per cento della popolazione cantonale, mentre la media nel resto della Svizzera si aggirava attorno al 10 per cento. Partivano perché non c’era lavoro. Un fenomeno che si è attenuato solo a partire dal 1930 quando l’industrializzazione è arrivata anche in Ticino, in ritardo rispetto ad altre regioni svizzere o europee, creando nuova occupazione.
"Dopo la seconda guerra mondiale - scrive Rossi - l’aumento della popolazione residente è stata assicurata in larga misura (e attualmente al 100 per cento) dal saldo migratorio (cioè più immigrati che emigrati, ndr). Il Ticino che fin verso gli anni Trenta del XX secolo era un cantone di migranti, diventò così un Cantone di immigrazione". Una conclusione che dovrebbe far riflettere i nostri politici per due ragioni. In primo luogo, perché noi, che abbiamo avuto antenati migranti, dovremmo metterci nei panni di coloro che abbandonano i loro Paesi in cerca di migliori prospettive di vita. In secondo luogo perché dobbiamo renderci conto che il nostro futuro passa dall’immigrazione.
Ma come si è giunti a questa situazione? L’interessante saggio di Rossi analizza il rapporto tra natalità e mortalità soprattutto nel corso degli ultimi due secoli. Attualmente questo saldo in Ticino è negativo: si registrano infatti mediamente più morti che nascite. Da qui la diminuzione della popolazione. Nel suo saggio l’economista analizza i fenomeni che nel corso di Ottocento e Novecento hanno influito sui rapporti tra nati e morti. I progressi della medicina, per esempio, hanno fatto diminuire la mortalità (soprattutto infantile), mentre il tasso di natalità è stato fortemente influenzato dal fenomeno dell’emigrazione. Emigrazione che fino alla prima metà dell’800 era soprattutto periodica, mentre in seguito i nostri giovani partivano per non tornare più. Si calcola che tra il 1850 e il 1940 in 40'000 abbiano lasciato il Ticino: il 33 per cento della popolazione cantonale, mentre la media nel resto della Svizzera si aggirava attorno al 10 per cento. Partivano perché non c’era lavoro. Un fenomeno che si è attenuato solo a partire dal 1930 quando l’industrializzazione è arrivata anche in Ticino, in ritardo rispetto ad altre regioni svizzere o europee, creando nuova occupazione.
"Dopo la seconda guerra mondiale - scrive Rossi - l’aumento della popolazione residente è stata assicurata in larga misura (e attualmente al 100 per cento) dal saldo migratorio (cioè più immigrati che emigrati, ndr). Il Ticino che fin verso gli anni Trenta del XX secolo era un cantone di migranti, diventò così un Cantone di immigrazione". Una conclusione che dovrebbe far riflettere i nostri politici per due ragioni. In primo luogo, perché noi, che abbiamo avuto antenati migranti, dovremmo metterci nei panni di coloro che abbandonano i loro Paesi in cerca di migliori prospettive di vita. In secondo luogo perché dobbiamo renderci conto che il nostro futuro passa dall’immigrazione.
27-02-2021 21:30
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