La storia della Montblanc un successo senza tempo

La regina delle penne
che resiste al digitale
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FRANCO ZANTONELLI
Se non fosse stato una figura ottocentesca anche il "Piccolo scrivano fiorentino" di Edmondo De Amicis, il bambino che si alzava di notte di nascosto per aiutare il padre nel suo lavoro di copista, avrebbe probabilmente sognato di possedere una Montblanc. Invece, visto che la stilografica venne creata nel 1924 in Germania quattordici anni dopo la morte dello scrittore diventato famoso grazie al libro "Cuore", il bimbo-scrivano si è dovuto accontentare degli strumenti dell’epoca. Ovvero di una penna e di un calamaio.
Dunque, le Montblanc esistono ormai da 95 anni. Nel corso degli anni successivi sono arrivate le macchine da scrivere elettriche, i computer, i tablet e gli smartphone. Il che non ha impedito alla stilografica di passare da un successo commerciale all’altro. "Non ne abbiamo mai vendute così tante", ha dichiarato di recente al quotidiano Le Temps Nicolas Baretzki, Ceo del gruppo Montblanc nel frattempo diventato uno dei marchi di Richemont, il colosso del lusso con sede a Ginevra, proprietario tra l’altro di Cartier e Van Cleef&Arpels. Un po’ paradossalmente il top manager attribuisce all’arrivo dell’informatica la crescita costante dell’interesse di una certa clientela nei confronti della mitica penna. "Con noi - ha dichiarato Baretzki - la gente torna ai valori tradizionali, arriverei a dire che acquista uno status".
"Si tratta di un prodotto classico ed elegante, con un marchio di qualità - dichiara al Caffè il professore di Economia dell’Università di Friburgo, Sergio Rossi - che ha saputo rinnovarsi nel tempo, suscitando l’interesse anche delle giovani generazioni che ne apprezzano la bellezza e lo stile non appariscente". Potremmo aggiungere che i suoi estimatori si mettono sulla stessa linea di personaggi del calibro dell’ex presidente Usa Barack Obama e degli scrittori Francis Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway, per citare alcuni illustri proprietari di una stilografica Montblanc.
Insomma, con la Montblanc, sono stati scritti capolavori quali "Belli e dannati" e "Il vecchio e il mare". O magari, senza per forza dover essere dei giganti della letteratura, lettere e dei biglietti d’auguri che si conservano per sempre, mentre le email finiscono, fatalmente, nel cestino.
Rimanendo alla questione del successo intramontabile della stilografica tedesca, oggi svizzera d’adozione, nell’era digitale ci si può chiedere se chi insiste nell’utilizzarla non sia affetto da un certo snobismo. Non è, quantomeno, un po’ singolare? "Non è per nulla singolare. Fosse anche per un uso saltuario, una firma con la penna stilografica e l’inchiostro blu fa la differenza", dichiara al Caffè un fan della Montblanc, il professore universitario Remigio Ratti.
Ma cavar fuori la Montblanc, dal taschino o dalla borsetta, è più un gesto chic o un gesto di resistenza all’invadenza della rete? "Entrambe le cose - l’opinione di Sergio Rossi - ma la penna stilografica continua a vendersi perché se ne fa ancora buon uso quando si firmano documenti importanti o si scrivono biglietti a delle persone con le quali si hanno dei rapporti importanti".
Va detto, stando a quanto si è potuto leggere qualche tempo fa sull’inserto scientifico del Corriere della Sera, che "la scrittura a mano permette di leggere meglio ciò che si sta scrivendo" e contribuisce ad aumentare "attenzione e concentrazione". Lo scrittore e sceneggiatore americano John Irving afferma, non a caso, che "scrivere a mano, lentamente, mi aiuta a controllare lo stile".
03.02.2019
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