L'economia nella normalità, ora basta misure speciali
"L'orario ridotto
ci ha salvati, ma..."
CLEMENTE MAZZETTA
Le prospettive sono buone. Il tasso di cambio franco/euro è rientrato entro parametri accettabili. Tutti gli indicatori economici sono positivi, a partire dall’occupazione", dice Glauco Martinetti. Il presidente della Camera di commercio considera positiva anche la recente decisione del Segreteria di Stato dell’economia (Seco) di ritenere le eventuali perdite per la fluttuazione del cambio del franco un "normale rischio dell’azienda", non più utilizzabili per richiedere l’orario ridotto, come era stato possibile dal gennaio del 2015. "Quella mezza catastrofe che ci si poteva attendere dopo l’abbandono della difesa del cambio fisso da parte della Banca nazionale, non c’è stata. Ma in questi tre anni l’industria ticinese ha dovuto stringere i denti, abbassando i listini anche del 20%, se non del 25% per restare competitivi sul mercato estero".
Il Ticino dal 2015 ha perso oltre un milione di ore di lavoro: un centinaio le imprese che hanno fatto ricorso all’orario ridotto, fenomeno che ha interessato nel complesso oltre duemila lavoratori e che si può considerare come l’effetto reale sull’industria ticinese causato dal "franco forte", dopo l’abbandono della difesa del cambio fisso di 1,2 per 1 euro della Bns.
Un effetto molto meno pesante rispetto alla crisi del 2008/2009. Allora in un solo anno in 200 aziende si persero 3,6 milioni di ore di lavoro. Oggi il cambio del franco, che era sceso quasi alla parità, è risalito a valori quasi "normali" oscillando fra l’1,17 e l’1,20. Più o meno il tasso del 2014. "Una normalità che fa ben sperare - aggiunge Martinetti –. Ma se le turbolenze del cambio si sono calmate ci sono ancora forti incognite, soprattutto legate a quel che succederà politicamente in Italia. Se a causa delle nuove decisioni del governo italiano, che suscita preoccupazioni negli Usa e anche in Europa, si arrivasse ad un crollo dell’euro, il franco svizzero ritornerebbe ad essere un bene rifugio per i capitali. E saremmo di nuovo daccapo".
La super valutazione del franco aveva penalizzato fortemente alcuni settori economici chiave del Ticino: l’industria, il turismo e il commercio al dettaglio. "L’industria per restare competitiva ha dovuto ridurre gli utili, rinviando anche molti investimenti. Tenendo però l’occupazione. I problemi non sono dunque tutti risolti, visto poi che il franco forte ha messo in ginocchio il settore del commercio. Una vera e propria mazzata - precisa Martinetti –. Basti pensare che gli acquisti all’estero dopo l’abbandono del cambio fisso sono rapidamente schizzati da otto a 13 miliardi". Settore commerciale a parte, a tre anni dall’abbandono della soglia minima di cambio franco/euro, la crisi pare archiviata. Anche se qualche economista segnala una "certa fragilità" della ripresa (vedi le dichiarazioni sotto di Sergio Rossi). Le previsioni parlano di una crescita del prodotto interno lordo (Pil) della Svizzera del 2,2% per il 2018. Chi temeva per la decisione della Bns, la distruzione di posti di lavoro, è stato smentito. "Attualmente in Ticino la disoccupazione è ai minimi storici. In questi anni, nè la crisi finanziaria, neppure quella del turismo hanno impedito all’economia cantonale di crescere in modo costante", conclude Martinetti.
Pur non sottovalutando le difficoltà del cantone cita uno studio dell’Istituto Bak Economics che segnala la costante crescita economica in Ticino negli ultimi 15 anni. Notevolissima soprattutto se la si confronta con quella italiana, termine di paragone naturale.
c.m.
17.06.2018