Fogli in libertà

Proibiamo la pizza
e mangiamo il kebab
e mangiamo il kebab
RENATO MARTINONI
L’assessore leghista per il turismo e il commercio di Genova ha fatto approvare una delibera che vieta (insieme ai "call center") la vendita del kebab all’interno di un area "rossa" che corrisponde in parte con il centro storico della città. Non è la prima volta che si sente di decisioni del genere. La stessa cosa è successa a Lucca qualche anno fa. Spaccio di kebab e centri di chiamate telefoniche, spiega l’amministrazione di centro-destra, sono attività "non decorose". Mentre invece chi governa deve contribuire "al miglioramente della qualità della vita". Il centro storico della città della Lanterna è patrimonio dell’Umanità per l’Unesco e va tutelato dai barbari come Dio comanda.
È normale per i genovesi addentrarsi nei "vicoli", che costituiscono il centro storico. Per loro è luogo identitario di storia, di vita, di avventure. In realtà andare oggi in quella via del Campo che Fabrizio De André ha raccontato in una celebre canzone, e soprattutto in via Prè, è come entrare in una enclave africana. In una specie di suk dove dei genovesi non c’è alcuna traccia. Viene allora da chiedersi se, dietro la decisione dell’attuale amministrazione politica della città, non ci sia la volontà di eliminare centri di incontro potenzialmente pericolosi. Forse qualcuno ricorda la storia della pizzeria di Duisburg, in Germania, cella di ndranghetisti calabresi, e la strage compiuta undici anni fa.
Detto questo, chi frequenta le trattorie di Genova, lascia stare il kebab per gustarsi le specialità del posto: le trenette al pesto (in Liguria si mangiano con le patate e i fagiolini), il minestrone freddo al basilico, la torta pasqualina, i "giancheti". Ma il sogno principe dei genovesi è quello di farsi una bella farinata. Cioè una torta salata a base di farina di ceci. Cotta nel forno a legna. Con il rosmarino. Come la pizza e la piadina, che oggi ricordano subito Napoli e la Romagna, è una specialità di origini mediterranee e orientali. Qui nasce il paradosso. Da un lato ci facciamo volentieri certi piatti (farinata, pizza, piadina) che sono arrivati da fuori, grazie al mare, che è da sempre simbolo di apertura e di arricchimento. Dall’altro ne rifiutiamo altri che hanno seguito la stessa via. Non è un caso che De André, genovese-doc, abbia voluto recuperare la musica mediterranea. Perché la cultura, come invece vorrebbero le menti rozze e grossolane squadrate giù con il falcetto, non è mai locale. E allora è giusto proibire il kebab? Se ci sono ragioni sanitarie o di pubblica sicurezza, sì. Altrimenti no, per favore. Lo dice uno che in vita sua non ha mai mangiato il kebab e che se va a Genova cerca la farinata o, per male che vada, un bel piatto profumato di trenette al pesto.
08.07.2018
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