Alla vigilia del voto anticipato la premier perde consensi
Rischio autogol
per Theresa May
ALESSANDRO CARLINI, DA LONDRA
Mai dare una vittoria alle urne per scontata. Questo probabilmente è il pensiero fisso nella mente della premier conservatrice Theresa May a pochi giorni dalle elezioni britanniche dell’8 giugno, che proprio lei ha voluto e che rischia di non vincere con un exploit come era nelle sue intenzioni quando ha scelto di andare al voto anticipato. Anche se i sondaggi sono sempre da prendere con le doverose pinze, il primo ministro avrebbe perso lungo la campagna uno dopo l’altro punti di vantaggio preziosi fino ad arrivare a una "forbice" di scarto che non può farle dormire sogni tranquilli. L’outsider, il leader laburista Jeremy Corbyn, partito da una situazione di divisione interna nel suo partito e coi media sempre pronti ad osteggiarlo, è riuscito - mantenendo la barra a dritta di un suo programma fortemente di sinistra - a ribaltare le sorti e addirittura a candidarsi come possibile nuovo primo ministro nel caso in cui i Tories perdano la maggioranza assoluta.
Intanto le autorità britanniche, come ha svelato il Times, avrebbero chiesto all’ex segretario di Stato elvetico Michael Ambühl, già capo negoziatore della Svizzera con l’Ue per i Bilaterali, di far parte di un gruppo di esperti nelle trattative sull’uscita del loro Paese dall’Unione europea. Ma a tenere banco a Londra è quella sorta di "miracolo" politico portato a termine da Corbyn, passato dal baratro dei 15-20 punti di scarto nei sondaggi di un paio di settimane fa ad appena il 3% di differenza dalla May, che paga soprattutto gli errori in una campagna elettorale che non ha certo emozionato per i grandi discorsi e per la retorica. Tutt’altro. I due maggiori partiti, Conservatori e Laburisti, si sono sfidati in molti casi sfruttando vecchie ricette e tentando di adattarle al Paese, che deve affrontare la sfida della Brexit. La leader tory aveva lanciato la sua sfida elettorale con un inconsueto voto anticipato, per rafforzare il suo mandato negoziale con Bruxelles. Ma nel frattempo è successo di tutto: c’è stata la strage di Manchester, che ha fatto emergere i suoi tagli alla polizia, prima come ministro degli Interni sotto il predecessore David Cameron e poi come premier, e le falle dei servizi segreti. E soprattutto ci sono stati i passi falsi e le retromarce imbarazzanti della May sul suo programma sociale. Non le resta quindi che rivolgere un appello accorato e chiedere alla gente d’avere "fede" in lei e nel governo tory affinché la Brexit possa diventare un successo.
Corbyn, il vecchio socialista che ha ricollocato il Labour a sinistra, invece, negli ultimi giorni sentendo il vento in poppa si è lanciato in promesse che hanno rasentato il populismo, come un milione di "buoni posti di lavoro", mega investimenti nel welfare, per un sistema sanitario malandato e le scuole del Regno, garanzie immediate per gli europei che si sono trasferiti nel Paese. Ma non intende tornare indietro sulla Brexit, al massimo è pronto a proporne una versione "soft", contro quella "hard" della May, che abbia al centro la salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Gli scenari che ha di fronte la Gran Bretagna sono quindi diversi. Alla fine May potrebbe comunque farcela.
Oppure ci potrebbe essere un parlamento senza un partito dominante e lì si innescherebbe il toto-alleanze per formare accordi tra i diversi schieramenti. Una potrebbe essere già pronta: un’intesa di tipo progressista, non sotto forma di coalizione, ma che preveda un governo di minoranza laburista, con Corbyn quindi premier a sorpresa, sostenuto esternamente dai deputati degli indipendentisti scozzesi di Nicola Sturgeon, dai libdem di Tim Farron e altre forze. May la definisce "una coalizione del caos" ma è stata proprio lei a scoprire il vaso di Pandora della politica britannica andando alle urne.
04.06.2017