Le elezioni di maggio nell'analisi di Luigi Bonanate
L'Ue messa a dura prova
dall'avanzata sovranista
LUIGI BONANATE
Fondata sull’aspirazione alla pace, cresciuta nello sviluppo economico, diventata un sistema politico complesso, ora l’Europa sta rischiando di andare a sbattere contro il suo principio fondamentale: il superamento dello stato-nazione tradizionale. Tra il 23 e il 26 maggio prossimi, l’Europa si giocherà quella che potrebbe essere la sua "ultima partita", o quanto meno l’ultima chance per fare di questa istituzione, la cui avventura incominciò nel 1957 (con i Trattati di Roma), una presenza centrale non soltanto dell’Europa stessa, ma del mondo intero. A dotarsi di un Parlamento (che è per definizione il simbolo più puro di un sistema democratico), si giunse nel 1979.
Da allora in poi, il cammino del consolidamento dell’Unione europea (formalmente tale dal 1992) è stato costellato da una variabilità impressionante, nel bene come nel male. L’evoluzione della vita politica europea si è dipanata parallelamente a quella della politica interna dei suoi membri e intrecciandosi con l’andamento della politica internazionale, cosicché grandi eventi anche extra-europei possono coinvolgerla (come l’attacco alle Twin Towers, o la crisi siriana). Ma i suoi maggiori problemi strutturali hanno riguardato le forme di regolazione dei rapporti economici e poi le norme giuridiche con cui progressivamente rafforzare l’Unione. Da un Consiglio europeo all’altro, si è arrivati fino a una vera e propria Costituzione; ma con la mancata approvazione di quest’ultima, l’intero sistema ha incominciato a perdere colpi, che si sono ripercossi sul Parlamento comune, che sovente si rivelava incapace di convincere la Commissione o di opporsi a essa, che è il cuore politico del sistema. L’Unione europea si è così infilata in una serie di crisi, ciascuna delle quali, tuttavia, causava ogni volta un passo indietro per poi trovare lo slancio per farne due in avanti (come nello slogan di Lenin, riveduto e corretto!).
Ma quando il pendolo politico è passato dalla teoria dei poteri alle prove di forza economica, e da queste alla distribuzione dei privilegi tra gli stati-membri, ci si è trovati in difficoltà ad affrontare una crisi esterna, quella migratoria, che ha imposto una nuova (e difficile da gestire) visione dei diritti umani. E durante una crisi si diventa tutti più attenti a difendersi, a conservare o proteggere i privilegi già conquisiti, senza lasciar cadere le barriere, o meglio rialzandole dopo averle abbattute. Paradossalmente, man mano che l’Unione europea ammetteva al suo interno nuovi membri (dal 2004 in poi ne accolse 14, quasi tutti orientali), stringeva le regole per l’accoglienza di chi arrivava da Sud, con la conseguenza di ridurre i flussi migratori o di incidere sui privilegi goduti dai cittadini europei.
Le prossime elezioni avranno quindi un ruolo decisivo: un rimbalzo, facendo due passi avanti, o soltanto un passo indietro? Entrerà ora in gioco anche il tecnicismo del sistema elettorale: nessuno correrà da solo, ma tutti devono scegliersi uno o più alleati. In passato gli schieramenti, pur essendo otto i gruppi politici che li componevano, si riducevano in sostanza a tre (progressisti, conservatori, e centristi, che raccoglievano il 60% dei voti); a questi ora si aggiungeranno - non sappiamo ancora in che modo ricompattati - sovranisti, populisti ed euroscettici. Lo scontro politico si trasformerà in un referendum sull’Europa, che ci dovrà dire se l’Unione crescerà o crollerà.
10.03.2019