La strage di El Mozote in Salvador e l'amnistia annullata
Il coraggio di tre donne
per incastrare i generali
MARTA VALIER, SAN FRANCISCO GOTERA (EL SALVADOR)
Sono in tre di fronte al giudice nell’aula giudiziaria di San Francisco Gotera a cercare di ricostruire quanto è accaduto nel borgo di El Barrial nel cantone di Cerro Pando il 13 dicembre del 1981, in El Salvador. In quei giorni, soldati appartenenti al battaglione di fanteria chiamato Atlacatl, notoriamente addestrato e armato da ufficiali statunitensi, stava portando a termine un’operazione di terra arrasada con l’ordine di sterminare la popolazione civile in interi villaggi nel dipartimento di Morazán nel nord est del paese. E così fece. L’operazione, nota come il massacro di El Mozote, si svolse nell’arco di più giorni, dal 10 al 17 dicembre del 1981, e fece 978 vittime tra la popolazione civile, tra cui 553 erano minorenni (447 dei quali avevano meno di dodici anni e 248 meno di sei).
Una dopo l’altra le tre donne, tra cui la madre Arcadia Ramírez Portillo, hanno raccontato al giudice Jorge Alberto Guzmàn quel che ricordano della scomparsa di Ana Julia e Carmelina Mejía Ramírez, due sorelle di quattordici e sette anni che quel giorno furono costrette dai soldati a salire su un camion per poi scomparire. Nessuna delle tre donne però ha assistito ai fatti e l’unica testimone diretta, Ester Pastora Guevara, è troppo anziana per testimoniare. Si fa fatica, ormai, a stabilire cosa sia accaduto. "Questi 39 anni sono stati una una tortura per tutta la famiglia", ha detto in aula Reyna Portillo, insistendo sull’importanza di sapere dove siano oggi le nipoti.
Quest’udienza che si è svolta lo scorso 17 gennaio fa parte del processo a diciotto militari ritenuti responsabili di aver dato l’ordine di uccidere l’intera popolazione civile di quell’area. Per oltre trent’anni il governo salvadoregno ha negato qualsiasi collegamento col massacro, quando non il massacro stesso, e solo nel 2012, tra la riesumazione dei corpi effettuata dall’equipe argentina di antropologia forense (Eaaf), investigazioni giornalistiche e una sentenza della Corte Interamericana, il massacro è stato ufficialmente riconosciuto. Il processo ora in corso ha avuto inizio nel 2017 dopo che la Corte suprema ha dichiarato incostituzionale un’amnistia che nel 1993 aveva, di fatto, cancellato tutti i crimini di guerra commessi durante la guerra civile, tra il 1980 e il 1992.
Di particolare rilevanza è stata un’udienza dello scorso novembre, quando per la prima volta due ex militari appartenenti al battaglione Atlacatl hanno testimoniato confermando i racconti dei superstiti, ovvero che le vittime erano per la maggior parte donne e bambini disarmati, ma soprattutto cominciando a fare luce sulla catena di comando. Il fatto che questi due testimoni abbiamo parlato a viso nascosto, con le voci distorte e rese irriconoscibili e usando uno pseudonimo - Juan e Sol - rende l’idea di quanto questo processo sia complesso e di come sia difficile fare luce su quanto avvenuto.
In questo contesto, intanto, tra un’udienza e l’altra, proseguono le esumazioni dei resti delle vittime vicino a El Mozote, mentre alla richiesta del giudice al presidente salvadoregno Nayib Bukele di aprire gli archivi militari e consegnare tutta la documentzione relativa al 1981, quest’ultimo ha risposto che non esiste più nessun documento sulle operazioni militari avvenute tra il 1980 e il 1982. Se vive, Ana Julia e Carmelina Mejía Ramírez, oggi avrebbero 54 e 46 anni.
27.06.2020