Il senso della libertà davanti agli obblighi in tempo di crisi
Le scelte che soffocano
i nostri diritti condivisi
SANDRO CATTACIN, FIORENZA GAMBA, SOCIOLOGI
La libertà è un concetto astratto che impegna, da secoli, i più grandi pensatori. Immanuel Kant apre la strada a un concetto di libertà individuale che sarà la base di tanti lavori e pratiche fino ai nostri giorni. Il suo imperativo categorico, infatti, postula che tutti gli esseri umani sono in grado di valutare e di decidere per il bene degli altri, prendendo, come metro dell’agire, semplicemente quei valori che sono potenzialmente condivisi da tutti. Nelle parole di Kant - che oggi possono tuttavia suonare tautologiche - ognuno è un giudice universale. Sappiamo, per esempio, che si resta a casa quando si è ammalati, in particolare quando si è portatori di una malattia infettiva. Lo si fa perché si è convinti che sia giusto e che la scelta sia condivisa anche dagli altri, che farebbero la stessa cosa se si trovassero nella medesima situazione.
Questo giudice universale che è in ognuno di noi, è messo di fronte a una dura prova quando alcuni non adottano il medesimo comportamento di salvaguardia nei confronti degli altri. Quando un ladro, per esempio, commette un furto, o quando non ci si lava le mani e non si tiene la distanza fisica che diminuirebbe il rischio di propagazione, ma anche di infezione, di un virus come il coronavirus. John Stuart Mill, qualche decennio dopo Kant, insiste a questo riguardo con il fatto che le nostre libertà finiscono dove le libertà degli altri cominciano. E che sono delle leggi a dovere definire questi limiti. Da liberali quali erano, Kant e Mill insistono sulla necessità di formulare queste regole e leggi del vivere insieme in modo da imporre il minor numero possibile di limitazioni e divieti, per evitare di soffocare la società liberale. Il legame è semplice: la libertà è la premessa per l’avanzamento della società dal punto di vista sociale, poiché permette la sperimentazione di stili di vita e le diversità tra i suoi componenti. Si tratta di un avanzamento sociale che è la base dell’avanzamento economico, perché la diversità si ritrova anche nella libertà d’intraprendere e d’innovare. Ma l’avanzamento è anche politico, perché la libertà permette il confronto e lo scambio di argomenti tra gli individui della società con l’intento di risolvere al meglio i problemi che toccano ognuno di noi.
Il confronto democratico e libero si è visto anche in questi ultimi mesi, quando una parte della popolazione si è ribellata e si ribella ancora, in maniera anche più decisa, contro le misure adottate per limitare i danni causati da questo nuovo coronavirus che circola fra di noi. Tante di queste critiche sono difficili da condividere - come quella che il Covid-19 sia una malattia creata in laboratorio, utilizzata da potenti, ad esempio Bill Gates, per iniettarci vaccini nei quali sono contenuti microchip, i quali permettono un controllo di massa grazie alla quinta generazione di standardizzazione della rete telefonica, la famigerata rete 5G. Ma a parte queste paure poco fondate su dati reali, nelle proteste che aumentano di giorno in giorno, viene formulata una critica che è invece da prendere sul serio: certe misure vengono definite liberticide, discriminano situazioni di vita, bloccano una parte dell’economia e la vita politica democratica.
Queste critiche non sono affatto da sottovalutare. Sappiamo che in diversi stati, democratici o no, le crisi ampie come lo è questa pandemia vengono utilizzate per rinforzare il controllo sui comportamenti tanto individuali che collettivi, per limitare le libertà personali, in mancanza delle quali niente può più avanzare. Il vile attacco alle torri gemelle, per esempio, fu l’inizio di una accelerazione dei controlli dei movimenti umani e delle interazioni basate sulle tecnologie digitali, ma anche di misure di discriminazione delle diversità, delle divergenze e della libera impresa.
E senza dubbio giusto che in situazioni di crisi si cambiano i modi di governare; ma è altrettanto legittima la richiesta di ripristinare le regole in vigore in tempi antecedenti alla crisi, se la loro abrogazione solleva dubbi sulla sua legittimità prima ancora che sulla sua efficacia. E se proprio è ritenuto necessario, da parte di chi la crisi deve gestirla e ne è politicamente responsabile, cambiare le regole, è altrettanto necessario passare, dopo un periodo definito, attraverso il sistema democratico e il dibattito pubblico per legittimare questi cambiamenti. In una società liberale, il giudice universale, seguendo Kant e Mill, deve rimanere l’individuo. Limitare le libertà è un’ultima ratio che ha un prezzo altissimo, non in termini di diffusione del Covid-19, ma in termini di sopravvivenza della società.
* Istituto di ricerche sociologiche dell’Università di Ginevra e co-editori del libro Covid-19. La prospettiva delle scienze sociali (KrillBooks)
31.10.2020