Le idee e le strategie dell'attivista inglese Rob Hopkins
"Il mondo non vi piace?
Basta immaginarlo diverso"
ALESSANDRO CARLINI DA LONDRA
Il mondo attuale in cui viviamo non piace? Bene, "basta volerlo cambiare". Parola di Rob Hopkins, 52enne ambientalista britannico che continua a far parlare di sé per un progetto decennale che sta portando avanti, nonostante tutto e tutti, nonostante ostacoli, pandemie. Si chiama Transition Network: partito da Totnes, la cittadina di Hopkins, è diventato una rete di comunità sparse in tutto il mondo dove i residenti si impegnano in progetti locali come la creazione di un orto, il rimboschimento, gli investimenti in fonti energetiche alternative, cambiano la realtà che li circonda all’insegna di uno spirito "green". In poche parole, "immaginano un mondo diverso", come sostiene lo stesso attivista inglese nel suo ultimo libro, dal titolo emblematico ed evocativo, ‘Immagina se…’, dove per l’appunto si spiegano i passi da compiere per migliorare la propria vita e quella degli altri.
In un’epoca resa ancora più difficile dall’emergenza del Covid-19. "La pandemia ci ha fatto capire quanto sia importante sviluppare modelli economici e di convivenza basati sulla sostenibilità, economica e ambientale", ha spiegato Hopkins, sottolineando l’importanza della coabitazione fra l’uomo e le altre specie. "Le città potrebbero guidare la rivoluzione verde dopo la pandemia e ci sono già importanti esempi, come quello di Barcellona". La città spagnola nei prossimi anni vuole infatti continuare ad estendere la sua zona pedonale, realizzare altri spazi verdi e potenziare una rete di trasporti pubblici non inquinanti. Non è certo facile immaginare però un mondo migliore quando si devono affrontare pandemie globali, il mondo è segnato da conflitti, divisioni politiche, guerre persistenti, e sulla questione cruciale del clima si stentano a trovare soluzioni condivise a livello planetario. L’attivista britannico è consapevole di tutto questo e non ha intrapreso improbabili percorsi all’insegna dell’utopia e dell’isolazionismo. Tutt’altro, afferma che "bisogna impegnarsi nel quotidiano" e offre una vera e propria guida a una realtà migliore.
Nel suo libro e nei suoi interventi, infatti, delinea la sua città ideale nel giro di una decina di anni, ed è tutto già a portata di mano. Hopkins immagina una comunità "dove gli alloggi sono sostenibili, l’approvvigionamento energetico avviene a livello locale, il cibo è abbondante e la settimana lavorativa dura solo tre giorni". Non bisogna correre così lontano per sfruttare al meglio abitudini, stili di vita, tecnologie di cui già si dispone. Come case riscaldate da pannelli solari, protette da muri isolanti in materiali riciclabili, con unità di compostaggio per tutti i bagni dell’edificio. Tutto questo immerso in spazi verdi, dove si trovano varietà di frutta e verdura coltivate direttamente dai cittadini.
Le strade sono tranquille perché il traffico motorizzato è molto ridotto e ci sono in abbondanza veicoli elettrici, come gli autobus che si fermano in aree immerse nel verde, come prevede il progetto britannico Edible Bus Stop, con lo slogan "dal brutale al bello". Viene privilegiato un network di biciclette pubbliche al quale tutti possono accedere liberamente e che permette così di ridurre fortemente l’inquinamento atmosferico. I negozi come le panetterie puntano sulla produzione locale, sfruttando risorse del territorio. La spinta alla produzione e consumo locale in piccoli negozi ha di fatto tagliato fuori dal mercato le grandi catene di supermercati, destinate a scomparire.
Nella visione di Hopkins, poi, le ferrovie (britanniche nel suo caso) tornano completamente di proprietà pubblica e finalmente le stazioni si differenziano l’una dall’altra, con negozi e locali diversi, non appartenenti a grandi catene. Si lavora meno, sempre più da casa, ma si fa molta più attività di volontariato al servizio delle propria comunità, che viene gestita in modo sempre più partecipato dai cittadini, in modo da non far piovere le decisioni dall’alto. La scuola intanto insegna agli studenti come immaginare un mondo migliore. "Se dobbiamo aspettare che siano i governi ad agire, non potranno che agire in ritardo; se invece agiamo come singoli, potrebbe non bastare; ma se agiamo come comunità potrebbe essere sufficiente e potrebbe essere giusto in tempo".
E quindi traspare una certa diffidenza nei confronti dei summit internazionali sui cambiamenti climatici come ad esempio il Cop26 delle Nazioni Unite, che l’anno prossimo sarà ospitato dal Regno Unito a Glasgow in partnership con l’Italia. Spesso questi vertici si chiudono con documenti programmatici in cui si prendono impegni che non vengono rispettati o solo in parte. Meglio, come sostiene Hopkins, partire dal piccolo, dal basso, per poi pensare, anzi immaginare, in grande.
19.12.2020